“Chiedo l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso i fatti”. Si è conclusa con questa richiesta l’arringa dell’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio del boss Matteo Messina Denaro nell’ambito del processo che si celebra a Caltanissetta, davanti alla Corte d’assise d’appello, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi del ’92. La Corte ha rinviato per eventuali repliche e sentenza al 19 luglio, nell’aula Costa del Tribunale, nel giorno quindi della strage di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e la sua scorta. In primo grado il boss è stato condannato all’ergastolo, la cui conferma è stata chiesta, conclusione della sua requisitoria, dal procuratore generale Antonino Patti.
La legale, dal canto suo, ha sostenuto “la mancanza anche solo di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista”. Ha poi sottolineato che “dalle motivazioni assunte in primo grado non è dato sapere nemmeno in cosa sarebbe consistito il concorso morale di Matteo Messina Denaro negli attentati di Capaci e via D’Amelio. Non vi è prova che l’imputato abbia fornito uomini per il compimento delle due stragi, né l’esplosivo utilizzato per il compimento delle stesse, né ancora supporto logistico sempre a tali fini”.
Poco prima l’avvocata Vella aveva detto: “Se devo essere sincera se oggi il mio assistito, Matteo Messina Denaro, fosse stato presente lo avrei apprezzato perché sicuramente chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti e suggerimenti in ordine alla mia discussione. Questo è indubbio. Ha rinunciato ed è una scelta sua che comunque rispetto. E’ stato molto difficile preparare la difesa perché ho dovuto studiare la sentenza, molti atti processuali e mi sono dovuta confrontare anche con sentenze precedenti che sono state acquisite su fatti in cui altri giudici si sono già pronunciati”. L’avvocata Vella è stata nominata difensore d’ufficio dell’ex superlatitante nell’udienza dello scorso 23 marzo.
Secondo la legale, “era Mariano Agate il reggente di Cosa nostra del trapanese e non Messina Denaro. Lo hanno riferito diversi collaboratori di giustizia”. L’ex latitante catturato il 16 gennaio a Palermo, “in tutte le riunioni che si svolsero in cui venne deciso il piano stragista non era presente. Non diede il suo assenso alla stagione stragista. Nella cosiddetta missione romana, ordinata da Riina per colpire personaggi di rilievo, quali Giovanni Falcone, il ministro Martelli, Maurizio Costanzo e Andrea Barbato, Matteo Messina Denaro recepì l’ordine impartito da Totò Riina come un mero soldato. I soggetti convocati da Riina, come emerge dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori si limitarono a recepire l’ordine impartito dal capo di Cosa Nostra, ossia quello di attuare propositi criminosi mai realizzati”.
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