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Racket da 13mila euro, nuova inchiesta coinvolge il boss Falsone

L'intera operazione, riguardò i clan delle due province dato che la vittima era di Favara ma l'impianto si trovava nel Nisseno

Nuove accuse per il boss Giuseppe Falsone, ex numero due di Cosa nostra siciliana e capo delle famiglie nell’Agrigentino, che rischia di finire a processo per un’estorsione mafiosa commessa nel 2004, durante il periodo in cui era latitante. Il pubblico ministero Stefano Strino della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta gli ha fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Falsone, insieme ad alcuni uomini di fiducia, giudicati a parte, fra cui il favarese Vincenzo Parello, e tre affiliati mafiosi del Nisseno – Maurizio Carruba, Alfredo Schillaci e Angelo Schillaci – avrebbe estorto 13 mila euro a un imprenditore favarese che stava facendo un investimento a Sutera, acquistando un impianto di bitume. Falsone, in particolare, in quanto rappresentante provinciale di Cosa nostra, avrebbe dato mandato di contattare l’imprenditore e organizzare la richiesta e la riscossione della tangente.

L’intera operazione, riguardò i clan delle due province dato che la vittima era di Favara ma l’impianto si trovava nel Nisseno. Con l’avviso di fine inchiesta, la difesa, con l’avvocato Barbara Garascia, avrà 20 giorni di tempo per visionare gli atti e articolare la prima strategia processuale. Falsone, nelle scorse settimane, ha rimediato una nuova condanna a 22 anni di reclusione con l’accusa di avere continuato a gestire gli affari mafiosi, da detenuto al 41 bis, attraverso il suo legale Angela Porcello che trasmetteva all’esterno messaggi e direttive.


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