fbpx

In tendenza

Uccise il vicino per la “stradella”, condanna definitiva per 73enne

La Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa e reso definitiva la sentenza che, quindi, nelle prossime ore sarà eseguita con l'ordine di carcerazione dell'imputato che finirà in carcere per scontare il resto della pena da cui sarà scomputato il periodo trascorso ai domiciliari

Ventidue anni di reclusione per l’accusa di omicidio volontario commesso per futili motivi: la Cassazione conferma il verdetto dei primi due gradi di giudizio nei confronti di Carmelo Rubino, l’agricoltore pensionato di 72 anni, reo confesso del delitto del coetaneo Vincenzo Sciascia Cannizzaro, anche lui agricoltore, al quale ha sparato due colpi di pistola al volto al culmine di una serie di litigi dovuti al diritto di passaggio su una strada interpoderale che portava ai loro terreni. L’imputato, tuttavia, attraverso i suoi legali, aveva sostenuto che si era trattato di legittima difesa e che, in ogni caso, era stato gravemente minacciato e provocato. La Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa e reso definitiva la sentenza che, quindi, nelle prossime ore sarà eseguita con l’ordine di carcerazione dell’imputato che finirà in carcere per scontare il resto della pena da cui sarà scomputato il periodo trascorso ai domiciliari. L’omicidio è avvenuto il 27 settembre del 2019 nel terreno della vittima in contrada Calici, a Canicattì.

Lo stesso anziano, durante l’interrogatorio, aveva ammesso di avere sparato due colpi di pistola al volto di Sciascia Cannizzaro, precisando di essere sotto shock e di non ricordare i dettagli di quanto accaduto. La procura contestava l’aggravante della premeditazione. Secondo il pm Paola Vetro, trasferita nei mesi scorsi, l’imputato “andò deliberatamente con la sua auto nell’abitazione di campagna della vittima, mentre erano iniziati i lavori della vendemmia per ucciderla salvo poi allontanarsi”. Una tesi che aveva portato alla richiesta di condanna all’ergastolo che è stata recepita solo in parte dalla Corte di assise di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, che aveva escluso la premeditazione. La procura di Agrigento aveva pure impugnato il verdetto chiedendo alla Corte di assise di appello di aumentare la pena riconoscendo la premeditazione ma la sentenza è stata confermata nei tre gradi di giudizio.


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni