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Uccise la fidanzata 21enne, invocate le attenuanti per giovanissima età

Il legale si è rivolto ai giudici togati del collegio presieduto da Angelo Pellino, ma soprattutto ai giurati popolari

La seconda sezione della corte d’assise d’appello di Palermo ha rinviato per eventuali repliche e sentenza il processo contro Pietro Morreale, il giovane di 21 anni accusato di avere ucciso la fidanzata, Roberta Siragusa, strangolata e bruciata ancora agonizzante a Caccamo (Palermo) nella notte tra il 23 e il 24 gennaio 2021, quando lei aveva solo 17 anni. Morreale, all’epoca diciannovenne, per l’efferato femminicidio in primo grado aveva avuto l’ergastolo: oggi ha tenuto l’arringa il suo legale, l’avvocato Gaetano Giunta, che, oltre a ribadire le tesi dell’imputato su un tentativo di suicidio della ragazza, ha cercato di far leva sugli unici aspetti che realmente potrebbero consentire a Morreale di evitare la massima pena: la giovanissima età e l’esclusione dell’aggravante della premeditazione. Se scattassero le attenuanti generiche, infatti, o se venissero considerate equivalenti alle aggravanti, la condanna potrebbe scendere a 30 anni o anche meno e in queste condizioni per la difesa sarebbe già un successo.

Il legale si è rivolto ai giudici togati del collegio presieduto da Angelo Pellino, ma soprattutto ai giurati popolari, sui quali ha cercato di fare breccia sostenendo che a un ragazzo come Pietro Morreale “va data una seconda possibilità, non si può dare un ergastolo”, che chiuderebbe la sua giovanissima esistenza in una cella. Riguardo alle modalità del delitto, il legale ha sostenuto che, dopo l’ennesima lite con il giovane, Roberta avrebbe cercato di suicidarsi dandosi fuoco, cospargendosi di benzina e riuscendo nell’intento dopo che il fidanzato aveva cercato di fermarla. Il corpo però venne abbandonato in un dirupo e l’imputato non chiamò i soccorsi: fu “un errore” commesso da Morreale – è ancora la tesi difensiva – per il panico che lo aveva preso e per il rispetto di una presunta volontà della vittima che avrebbe voluto finire i propri giorni in quella zona in cui aveva vissuto la storia con il ragazzo. Tesi poco credibili, se non avventurose da sostenere, tenendo conto pure del fatto che l’imputato, anche oggi presente in aula, non ha mai fatto alcuna dichiarazione, se non quelle iniziali rese ai carabinieri di Caccamo e Termini Imerese (Palermo) nell’immediatezza dei fatti. Il sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno ha chiesto la conferma del carcere a vita, così come i legali di parte civile, gli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Sergio Burgio e Simona La Verde. Ecco così che il processo si gioca solo su una domanda: può un ragazzino diventare adulto e poi anziano e finire i propri giorni in prigione?


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