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Uccise la fidanzata, per la Cassazione: “era lucidissimo, nessuna giustificazione”

Il tentativo di far passare il ventiduenne per pazzo o in preda a un raptus è, secondo la Cassazione, che ha confermato l'ergastolo per il giovane, "inammissibile, in quanto manifestamente infondato, aspecifico e rivalutativo"

Pietro Morreale era perfettamente capace di intendere e di volere, nella notte del 21 gennaio 2021, quando uccise la fidanzatina di appena 17 anni, Roberta Siragusa: il tentativo di far passare il ventiduenne per pazzo o in preda a un raptus è, secondo la Cassazione, che ha confermato l’ergastolo per il giovane, “inammissibile, in quanto manifestamente infondato, aspecifico e rivalutativo”.

Nelle motivazioni della propria decisione, pronunciata il 10 luglio scorso ma depositate nei giorni scorsi, la prima sezione della Suprema Corte spiega perché ha ritenuto non meritevoli di valutazione tutti i motivi di ricorso presentati dalla difesa dell’imputato. “Il fatto che il ragazzo, subito dopo l’uccisione di Roberta – si legge nella motivazione – abbia tenuto comportamenti che la difesa ha giudicato incongrui, non è plausibile spia di una condizione di deficit psichico rilevante, anzi pare esattamente il contrario; e che ancora non riveste particolare significato la circostanza che nei primi periodi della propria detenzione Morreale sia stato seguito dagli psicologi penitenziari, anche considerato che gli stessi non hanno mai fatto alcun riferimento a problematiche psicopatologiche diverse dalla normale ansia”.

Nessuna giustificazione dunque è possibile, per il ventiduenne (compirà 23 anni il mese prossimo), che non ha mai confessato né mostrato segni di resipiscenza, tanto meno ha chiesto perdono ai familiari della vittima. Morreale ha anzi insistito nella sua tesi del “suicidio” della ragazza, pentita di averlo tradito e pronta a darsi fuoco dopo l’ennesima lite col fidanzatino. Quando invece, secondo i giudici di merito e di legittimità, i 33 episodi di violenza fisica subiti dalla diciassettenne prima dell’omicidio, rendono ulteriormente non credibile la versione di Pietro Morreale. Che, secondo i giudici, dopo avere colpito la ragazza con violenza al capo, la finì dandole fuoco quando era ancora viva, cercando poi di farne sparire i resti. “Morreale, esperto praticante dell’arte marziale del kick-boxing”, prese “repentinamente e improvvisamente a pugni la povera Roberta, quando ancora i due erano in auto, senza darle il tempo di alcuna reazione”. E infine è confermato anche “il tema della gelosia patologica di Morreale e delle sue gravissime ricadute sul rapporto con Roberta”. La diciassettenne, chattando col ragazzino che era diventato il suo nuovo amore, il 27 ottobre 2020, meno di tre mesi prima del delitto, “parlando di Pietro lo aveva definito ‘non innamorato’, ma ‘malato di lei’, ‘fissato’”.


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