Un bambino contro il presidente della Regione siciliana: e vince il bambino che aveva fatto causa, tramite i genitori, perché durante il lockdown un’ordinanza “contingibile e urgente” dell’allora governatore Nello Musumeci gli vietò per cinque giorni di uscire e di giocare all’aperto. Lui, che all’epoca aveva tra 10 e 11 anni, ne soffrì come tanti altri piccoli della sua età: per questo gli è stato accordato un risarcimento simbolico di 200 euro al giorno, totale mille euro. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, l’equivalente del Consiglio di Stato nell’Isola dall’autonomia “specialissima”, ha infatti accolto il ricorso, bocciando l’ordinanza emessa l’11 aprile 2020 dall’allora presidente Musumeci, oggi ministro della Protezione civile. Accodandosi a un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, emesso il giorno prima, la Regione varò norme più stringenti per il lockdown: se da Roma era stato imposto il divieto di svolgere qualsiasi attività motoria all’aperto, anche in forma individuale, “ivi inclusa quella dei minori accompagnati dai genitori”, ma con la deroga che consentiva di uscire, correre, giocare e sgambare “nei pressi della propria abitazione”, la Sicilia fu anche più severa, eliminando quest’ultima, letterale e unica “via d’uscita” da casa.
Il risultato, sostiene ora il Cga nella sentenza del 23 marzo ma depositata mercoledì, fu il divieto assoluto di qualsiasi attività all’aperto. Di fatto, osserva il collegio presieduto da Ermanno de Francisco (relatore ed estensore) e composto dai consiglieri Antimo Prosperi, Giuseppe Chinè, Giovanni Ardizzone e Nino Caleca, a gran parte della popolazione e ai minorenni fu imposta “una permanenza domiciliare assoluta”, equivalente agli arresti in casa. Francesco, attraverso i genitori e con l’assistenza dell’avvocato Marcello Mauceri, si era rivolto in prima istanza al Tar, che aveva tagliato corto, ritenendo che la perdita di efficacia dei Dpcm e delle ordinanze regionali privasse la causa di quel necessario interesse della parte alla revoca. In realtà la questione viene guardata solo sotto il profilo risarcitorio e in questo senso il bambino ha ragione da vendere: il divieto che fu allora imposto era immotivato, dunque illegittimo. Scrive il Cga che era «lo Stato ad avere assunto su di sé la predeterminazione delle misure da applicarsi in tutto il territorio nazionale», mentre le Regioni potevano intervenire a condizione che ci fosse un «presupposto fattuale legittimante, un aggravamento epidemiologico posteriore all’ultimo Dpcm emanato», sempre nel rispetto dei “principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente e comunque sotto la continuativa vigilanza statale». In Sicilia non c’era stato “alcun evento ecatombale che in ipotesi si fosse verificato in poche ore”, anzi lo stesso Musumeci dava atto di una situazione sanitaria migliore di quella del resto del Paese. Le Regioni in realtà, conclude il Cga, “perseguivano il consenso semplicemente cercando di primeggiare quanto a imposizioni di divieti alla popolazione: più spesso, e come in questo caso, contra legem, che praeter legem”. Contro legge, più che al di fuori. Nemmeno nelle zone rosse “la popolazione non infetta o non in quarantena, è stata posta in condizioni sostanzialmente analoghe a quelle della detenzione domiciliare: cosa che invece hanno fatto alcune Regioni, tra cui anche la Sicilia”. Per i bambini la questione fu “assai delicata sotto il profilo della crescita e della formazione psicologica dell’individuo”. E per questo il bambino batte il presidente.
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